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Storia di un incidente e delle sue vite precedenti

Nicola Guastamacchia in conversazione con Nicola Lorini

Maggio 2021

 

Ci sono elementi emotivi e investigativi nel progetto sinteticamente sviluppato come un PDF da Nicola Lorini per la sua partecipazione alle attività della residenza In-ruins nel 2018. Partendo da un evento di cronaca ordinaria – lo schianto di un auto contro il muro esterno del Parco Archeologico di Scolacium – il documento, senza titolo e prodotto a distanza, offre un’analisi visuale e narrativa di carattere tanto geologico e archeologico quanto schiettamente speculativo. Oltre due anni dopo, incuriosito della ricerca condotta da Lorini nelle quattro tavole che compongono il lavoro, gli ho chiesto di tornare indietro e commentarlo. Miravo inizialmente a ottenere un’istantanea del contesto critico dell’artista e una descrizione del metodo che l’aveva portato a quella fitta sovrapposizione di testi, immagini, link e suggestioni. Il carattere interdisciplinare della conversazione e del PDF ci ha invece spinti fuori strada, fino a immaginare che quelle idee, pensieri e preoccupazioni possano confluire in qualcosa di nuovo.

 

Nicola Guastamacchia: Inizio con una domanda un po’ superficiale, ma utile per tracciare il contesto dove ci muoveremo: se dovessi riassumere a uno sconosciuto i temi del tuo lavoro, che cosa diresti?

Nicola Lorini: Di solito rispondo a questa domanda cercando di descrivere quello che faccio nel pratico. Quindi parlo del fatto di lavorare con dei materiali, con degli elementi e delle forme narrative quasi sempre generate da un determinato contesto. Parlo della tendenza a formulare situazioni che non siano necessariamente risolte in se stesse, come dire, trasportabili e collocabili in senso scultoreo, ma che possano esistere rispondendo a un luogo, a un ambiente materiale e sentimentale preciso. E poi, cerco di argomentare l’ossessione, il movente alla base di queste operazioni. In questo momento sento il bisogno di mettere in discussione modelli rigidi legati a un’idea di sviluppo tipicamente occidentale. Non tanto in un’ottica di “decrescita”, senz’altro necessaria, ma più che altro riflettendo su come la messa in discussione e questo scardinare dualismi assoluti possano portare a una sorta di liberazione mentale, all’interfacciarsi anche con la materia, la materia storica, in modo incondizionato e, per quanto possibile, privo di feticismi.

NG Nel contesto di questa ricerca, che cosa significa tentare di distanziarsi da un punto di vista occidentale?

NL Spesso vedo il percorso in cui mi sono trovato a lavorare come il passaggio più o meno spontaneo tra la “questione digitale”, ciò che comporta da un punto di vista comunicativo percettivo, e il collasso dell’idea di futuro incorporata dal XX secolo. Qualche anno fa, mi interessava molto il ruolo di internet, soprattutto le possibilità di un internet orizzontale, l’affiancamento rapido di contesti, sentimenti e immaginari diversi. In quel processo, ormai normalizzato, certe gerarchie hanno iniziato a sgretolarsi: si passa dalla tragedia, al meme, al meteo in pochi istanti. Questa semi-sovrapposizione di contenuti ed emozioni, lontani nel tempo e nello spazio, ha dato forma a pensieri e comportamenti ibridi. Per molto tempo il mio interesse si è focalizzato sul ruolo che la materia ricopre in un processo comunicativo abitato da immagini e da informazioni rapide e frammentarie. Ora vedo una continuità tra questo tipo di ricerca e le contingenze legate alla crisi climatica e “identitaria” che stiamo vivendo in quanto esseri umani. La necessità di rivalutare modelli di pensiero, di sviluppo e di produzione per evitare un collasso irreversibile non è più elitaria ma diventa una questione di sopravvivenza collettiva. Quello che collega queste due cose è il fatto che da quel tipo di fruizione dei contenuti, così veloce e in sovrapposizione, si è passati al non dare più per assoluta un’idea di crescita prettamente tecnologica, economica, capitalistica. Il concetto stesso di sviluppo su cui si è fondata la civiltà occidentale è venuto a mancare e con esso una serie di dualismi; i confini tra bene e male, uomo e natura, passato e futuro si sono offuscati. Certo si tratta di un processo lento, siamo abitati da ideali che richiedono energie e tempo per essere rimossi. La linearità del tempo, come nell’Internet, viene però finalmente compromessa. La storia, percepita come linea perfetta al cui apice l’uomo crede sempre di essere meglio di ciò che lo ha preceduto si scuote, disarcionando i suoi passeggeri. Mi interessa molto la questione della decolonizzazione dei musei e del pensiero, la ridefinizione del ruolo del museo che da contenitore sterile di oggetti può diventare attore capace di creare narrazioni. Poco fa ho riguardato Les Statues Meurent Aussi di Resnais and Marker (1953).

Still da Les Statues Meurent Aussi, Alain Resnais e Chris Marker, 1953.

NG Trovo interessante il fatto che un approccio “archeologico”, non inteso in senso strettamente scientifico, possa diventare un pretesto più o meno esplicito per rivedere come si possa percepire o pensare il tempo. Credo che oggi ci sia una maggior consapevolezza che i tempi possano cambiare. Sperimentiamo il cambiamento storico sempre più direttamente nella sfera privata, banalmente anche solo in virtù dei social media e dell’assenza di forme condivise di consapevolezza collettiva. Il fatto che il tuo lavoro unisca oggetti che possono sembrare delle rovine, dei resti, con forme più pulite o industriali sembra proprio contrapporre alcuni dei livelli di cui hai parlato. Non sembra un caso che tu ti muova in un ambito che azzarderei chiamare “narrativo”. Forse con questo spunto ci si può avvicinare un po’ all’idea di quello che hai fatto per In-ruins. È significativo che un artista contemporaneo chiamato a riflettere sulla sua pratica nel contesto di un parco archeologico, ne esca fuori con una storia.

NL Quando mi interfaccio con contesti o oggetti che, come dici tu, possono sembrare dei frammenti archeologici, nel senso che vengono riconosciuti come qualcosa che arriva da un altro tempo, in realtà sono interessato a una mediazione emotiva più che logica. Spesso la dichiarazione del valore di un determinato ambiente o oggetto e la sua collocazione in una linea temporale diventano un filtro-patina che impedisce l’accesso alla materia stessa e al sentimento che l’ha generata. Cerco di innescare un accesso non scientifico all’idea di tempo osservando fatti di cronaca, tendenzialmente di scarso valore giornalistico, in cui quella che potremmo chiamare materia “storicamente connotata” svolge un ruolo traversale, di ingombro fisico o meramente affettivo. Credo che i nostri sentimenti siano cambiati molto poco, se non per nulla, nell’arco della storia. Viviamo con l’idea di una distanza temporale tra noi e l’umanità che ci ha preceduto, come se noi fossimo più umani, ma di fatto tutte le nostre azioni sono spinte da sentimenti praticante immutati, semplicemente manifestati e vissuti con mezzi diversi. Questo ripresentarsi del sentimento mi interessa particolarmente, soprattutto se mediato dalla materia attraverso un’esperienza fisica, diretta ed emotiva in cui l’uomo, una statua, il paesaggio, un animale, l’architettura o una narrazione sono collocati sullo stesso piano. La prima cosa che ho fatto prima di recarmi a Scolacium è stato cercare notizie recenti in cui il parco appariva non per il suo valore prettamente archeologico, né tantomeno per il suo utilizzo come contenitore di eventi e manifestazioni. Ero alla ricerca del parco come elemento vivo, possibile attore coinvolto in eventi inaspettati, potenzialmente drammatici. Trovai una notizia su un giornale locale relativa allo schianto, nella notte del 20 maggio 2018, di una auto contro il muro di recinzione del parco archeologico. Si parlava di un impatto, nel buio, tra una Toyota Rav 4 e il perimetro esterno del sito. Alla guida un uomo di mezz’età rimasto fortunatamente illeso. Notizia di ordinaria cronaca eppure metaforicamente potente. Forse l’uomo tornava da una serata con gli amici, o da una notte con l’amante, magari aveva finito di lavorare come guardia notturna, si stava accendendo una sigaretta e “SBAMMM” si è schiantato contro la storia.
Fino agli anni Ottanta il parco era di proprietà privata, così come i resti al suo interno: preistorici, romani, bizantini che nel tempo si sono sgretolati e fusi con il paesaggio geologico e architettonico della zona. L’incidente mi ha interessato perché in quello schianto fisico si è verificata la rimozione di queste distanze, della messa sul piedistallo di ciò che ci ha preceduti. Il muro è diventato una membrana da sfondare che separa la complessa banalità della vita dell’uomo alla guida, carica di preoccupazioni e pulsioni, da un residuo di pulsioni e proiezioni umane passate. Quell’impatto è diventato poi un elemento per speculare sull’idea di tempo, di paura, di fatica umana.

NG L’immagine dello “schianto contro la storia” è molto potente. Come mai da questi presupposti è nato un PDF e non un’opera in altro formato, magari più tangibile e materiale?

NL Da un lato sentivo il desiderio di usare questa storia come punto di partenza per un’opera, dall’altro ero interessato a condividere questo fatto di cronaca, nella sua semplicità e scarsità di dettagli, con le altre persone coinvolte nella residenza, innescando una serie di conversazioni in cui il contesto dell’incidente veniva filtrato dalla soggettività e dalla diversità dei partecipanti. Decisi di estendere questo tipo di dialogo anche a una serie di professionisti esterni al progetto e non strettamente legati a una pratica artistica. Una delle prime persone che ho contattato è stato il geofisico Michele Rubino, specializzato nell’utilizzo di radar e tecnologia satellitare per il rilevamento a distanza di movimenti del sottosuolo. Ho condiviso con lui alcune immagini del luogo dell’incidente e attraverso un’analisi da remoto è stato in grado di individuare gli elementi utilizzati per costruire il muro. Un misto di pietre calcaree e frammenti di elementi architettonici provenienti dagli insediamenti passati per quel luogo. Tegole di tetti risalenti a costruzioni romane, frammenti di oggetti in cotto. L’analisi faceva emergere aspetti di geologia locale – pietre sedimentate in quel contesto – ma anche frammenti di operazioni umane. In un certo senso la corazza che protegge il parco è stata costruita con i frammenti delle rovine stesse, una sorta di processo biologico di autodifesa in cui un organismo sacrifica e ottimizza un elemento meno essenziale per proteggerne uno più vitale. Dopo il confronto con il geofisico ho avuto un breve scambio con degli investitori in criptovalute, in questo caso termini legati all’incidente, come ‘Crash’, ‘Wall’, ‘Trajectory’, rispecchiavano la terminologia relativa invece a investimenti monetari. L’incidente diventava metafora di un andamento fatto di picchi, cadute e curve impreviste.

 

NG È un discorso molto stratificato. Sapevi già della sovrapposizione semantica con il mondo delle criptovalute? Cos’altro è emerso dall’analisi geologica del Dott. Rubino?

NL No, assolutamente, mi interessava presentare questa storia ad altri per innescare una conversazione piuttosto spontanea da cui poi estrapolare aspetti e informazioni che ritenevo utili alla costruzione di una sorta di script. Quanto al confronto con il geofisico, è stato interessante vedere come l’analisi geologica si sia divisa tra i due elementi coinvolti nell’incidente: da una parte il muro dall’altra l’auto intesa come corpo. Un tentativo di porre sullo stesso piano la condizione geologica del muro e quella della Toyota, macchina di progettazione giapponese ma prodotta in Cina. Abbiamo anche fatto un’analisi a ritroso, individuando le miniere in cui vengono estratti i minerali utilizzati per i componenti del motore, della batteria o del sistema elettronico dell’auto. Dalla notizia dell’incidente ci siamo trovati a parlare di miniere in Cina o in Cile: la soggettività e il dramma dell’uomo alla guida si sono collegati con la soggettività e il dramma di un minatore in una miniera di Galena nello Shuikoushan o con la fatica di un operaio in epoca romana.

NG Sotto un profilo narrativo, trovo efficace l’espediente di raccontare un evento tramite il filtro di persone e sfere della conoscenza diverse. Mi sembra un progetto molto coerente ma mi sono venute in mente cose disparate. Condivido una serie di pensieri in ordine sparso: con questo progetto hai provato a raccontare una storia o delle storie tramite il pretesto di un incidente. È bella l’idea di raccontare la storia “per incidenti” e pensare a come questi possano funzionare come un prisma e proiettarci in direzioni diverse: la storia del muro, i componenti della macchina, il mondo digitale delle criptovalute e l’annesso simbolismo di crashes e walls. In più, la centralità dell’impatto ha tratti molto “futuristi”, in particolare con riferimento all’elemento offensivo e distruttivo che collega l’importanza di un sito archeologico (e ciò che può evocare) a un presente che gli si schianta addosso nella maniera più banale possibile: un incidente d’auto. Ho anche pensato al film di Dino Risi, Il Sorpasso in relazione all’analisi che fai della Modernità e pensando al protagonista che ha una macchina e vuole correre. Nella tua storia, penso al momento frenetico della vita contemporanea di questa persona, che stava forse correndo a casa, e finisce invece per schiantarsi contro l’immobilità secolare di un luogo pesantissimo. Hai mai pensato di trasformare il PDF in qualcos’altro?

NL Il PDF era stato concepito come un collage di informazioni utili per comunicare l’insieme di suggestioni e storie generate fino a quel punto. Era caratterizzato da un linguaggio grafico abbastanza connotato, fatto di sovrapposizioni e intersezioni, ma eccessivamente sterile e non l’ho mai considerato un’opera in se. Nei messi successivi ho però più volte pensato di strutturare il materiale raccolto come un vero e proprio script utile alla produzione di un’opera video. Credo potrebbe essere il linguaggio più sensato per trasferire in modo efficace questa stratificazione e forma narrativa.

NG Il video mi sembra il formato ideale per una ricerca del genere. Hai mai incontrato il lavoro di Walid Raad come Atlas Group? Uno dei partecipanti fittizi di quest’opera collettiva di ricostruzione della storia del Libano è il Dr. Fadl Fakhouri. Il dottore, nella serie Already Been in a Lake of Fire: Notebook Volume 38 (1991/2003), presenta collage con disparati modelli di automobile affiancati da sintetiche iscrizioni in arabo. Sono queste ultime a rivelare la connessione tra i diversi modelli, tutti usati come autobombe durante la guerra civile in Libano negli anni dal 1975 al 1991. 

NL Si di Atlas Group trovo particolarmente affascinante la modalità in cui questioni molto complesse vengono articolate in una dimensione fluida, performativa, generando una sovrapposizione in cui elementi di “finzione” impattano sul “reale”. In questo senso amo moltissimo il lavoro di Apichatpong Weerasethakul. Soprattutto nei suoi lavori meno cinematografici c’è sempre questa sottile oscillazione tra la documentazione di situazioni di vita tailandese e esperienze spirituali, suggestive, oniriche, profondamente intrise di suggestioni tanto carnali quanto spirituali. Una dimensione simile è emersa anche dallo scambio che ho avuto con Federico Sargentone, scrittore, anche lui coinvolto nel progetto per In-ruins. In questo caso, partendo dall’articolo sull’incidente d’auto che ho condiviso con lui, Federico ha prodotto una sorta di script – un breve racconto – impersonificandosi nell’uomo alla guida dell’auto. Il parco e il muro si scontrano con la soggettività del personaggio carica di preoccupazioni, problemi economici e meccanismi di autodifesa. Il parco diventa un elemento lontano che viene soffocato dall’incombenza della vita vissuta fatta di conti, debiti e sopravvivenza. Di colpo si è trasportati in una dimensione quotidiana ed estremamente sofferta.

NG Così mi fai invece pensare a Nostalgia della Luce e La Memoria dell’Acqua di Patricio Guzman ma anche, più in generale, a quella tendenza di tanta produzione culturale sudamericana capace di parlare in una certa maniera della natura.

NL Il Realismo Magico.

NG Esattamente! Ma torniamo all’opera. Ci manca ancora un altro soggetto e un altro livello del progetto, se non sbaglio.

NL Sì, una delle ultime persone con cui ho condiviso l’articolo e le immagini dell’incidente è stato Giuliano Anzani, compositore elettronico e sound designer particolarmente interessato all’aspetto più materiale e fenomenologico del suono. Lavorando con il contesto morfologico del muro, dell’auto e del paesaggio Giuliano ha costruito una traccia audio ipotizzando l’espansione dei suoni generati dall’impatto sulla materia che abita il parco archeologico.È una traccia molto potente.

 

NG Vedo anche link a video sparsi per il PDF. Non l’avevo notato. Un motociclista impantanato e dei video bellissimi come il Triadisches Ballet di Oskar Schlemmer.

NL Si, all’interno del PDF avevo inserito una serie di link, più o meno nascosti, che riportavano a referenze in qualche modo legate a questa ricerca. È interessante riaprirli adesso perché non ricordo assolutamente a che cosa riconducessero.

NG Sembra quasi, dai questi link a video, che l’intenzione di fare un video c’era già, anche se forse non ci avevi ancora pensato.

NL È possibile, vedo che c’è anche quello del crash test della Toyota RAV4.

NG Questo è perfetto, guarda il manichino!

NL Verniciato in modo da render visibile dove va a colpire la testa.

NG Tutti questi link sembrano quasi un principio di fonti video per un possibile found footage.

NL Si, ma in realtà, se mai dovesse diventare un lavoro video, vorrei evitare il found footage. Da questa conversazione credo possa emergere una questione su cui spesso mi interrogo: quanto di questo navigare tra storie, informazioni, immagini, personaggi e suggestioni sopravvive nell’opera finale? È una domanda che mi pongo spesso e che spesso mi ha messo in difficoltà. Credo che l’utilizzo dell’immagine in movimento possa avere in questo caso la capacità di far sopravvivere nel lavoro questa stratificazione di elementi. Di fatto l’utilizzo di una sceneggiatura, il suono e una certa idea di tempo sono già presenti nel materiale prodotto fino a ora.

 

NG Da artista, credo tu abbia prodotto una ricerca ineccepibile, non tanto da un punto di vista scientifico quanto nel modo in cui sono presentati, concatenati e resi comprensibili i tuoi pensieri. Non è facile. Credo sia un progetto forte. Inizialmente mi ha colpito l’estetica “contemporanea” del PDF. Mi è sembrato un lavoro esteticamente coerente e integrabile, forse, con una semplice conversazione. Dopo averne parlato, è interessante che sia emersa l’idea di farne un video, scoprendo quindi che il lavoro non era ancora davvero “finito”. A livello formale, quando ti ho invitato ad avere questa conversazione, eravamo partiti dall’idea di ripensare un progetto di due anni fa, archeologia per archeologia. Alla fine – forse proprio come può avvenire per rovine e siti archeologici – da questa analisi sta invece nascendo un pensiero nuovo.

NL Mi fa molto piacere perché credo che alcuni aspetti che abbiamo toccato con questa conversazione probabilmente non sarebbero più emersi in modo chiaro, almeno in relazione al progetto iniziato due anni fa.

NG Credo che il progetto dica molto su come lavori ed è molto attuale, ma non in senso strettamente cronologico. Lo trovo in grado di restituire la complessità celata di un evento banale del presente così da creare connessioni non solo tra persone ma soprattutto tra modi di pensare, che permettono di capire come ci sia una possibile bolla speculativa persino per eventi qualsiasi come l’impatto di un’auto su di un muro. Dimostra che siamo in grado, per via della complessità del nostro mondo, di integrare narrativamente un certo evento ed espanderlo così tanto. La necessità stessa di fare e spiegare queste cose sembra, infondo, spinta da ragioni sentimentali, umane.

NL D’altra parte tutto questo lavoro è stato fatto prima di recarmi sul luogo, è stato concepito colmando una distanza in modo approssimativo e proprio per questo fluido. Quindi la mia concezione di quel paesaggio, del “luogo” dell’incidente, era puramente generata da informazioni, immagini, supposizioni. Io lì non c’ero mai stato.

 

NG Sono assolutamente a favore di una possibile “deriva” video di questo progetto. Se il video riuscisse a mantenere questo livello narrativo complesso, di sovrapposizioni: il suono, il point of view, la storia giornalistica e l’analisi geologica; vieni sballottolato continuamente tra diversi input e punti di vista, anche sensazioni: l’impatto, il muro, il contenuto della macchina. In questo momento mi sovviene la frenesia di Syneddoche New York di Charlie Kaufmann. Scusa, sto divagando con una tua opera.

NL [Ride] Va benissimo, altro che! Devo ammettere che questa conversazione e la tua capacità di intercettare diverse questioni a me care mi hanno dato una spinta per riprendere in mano il progetto. Tu cosa suggerisci?

NG Nel contesto della metodologia che hai seguito per il progetto e immaginandolo come un assurdo gioco di matrioske, credo che il fatto che tu, oggi, abbia ripensato a queste idee e le abbia spiegate diversamente, aggiunga un ulteriore potenziale livello al tuo discorso. Se inizialmente pensavo si potesse semplicemente inserire il PDF e la nostra conversazione sul sito di In-ruins, ora credo dovremmo pensare al fatto che, non essendo mai stato concretizzato, il progetto potrebbe essere integrato meglio con il nostro scambio. Per fini di comprensibilità, manterrei per questa chiacchierata anche un formato tradizionale.

NL E sarebbe in inglese?

NG Lo abbiamo fatto in italiano, ma lo possiamo tradurre!

NL Avremmo forse dovuto farlo in inglese. Ma in realtà, forse, per il carattere discorsivo di questo confronto ha avuto senso l’italiano.

NG Vediamo cosa succede una volta trascritto tutto. Scremiamo, scremiamo ed eventualmente traduciamo in inglese. Così si aggiunge persino un altro livello al progetto. Dici che è idiota fare uno screenshot alla nostra video call?

NL Si può fare. [ride]

[Screenshot]

NL Forse ho sorriso troppo, rifacciamola.

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